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Anima e carne

Sono fotografie diagnostiche che osservano con rigore scientifico “l’interno”, nel rilevare profili e spessori di ossa e organi interni, il corpo è sintetizzato a tal punto da apparire in alcune sequenze, astratto e irriconoscibile.
La risonanza magnetica per immagini genera un errore interpretativo, un cortocircuito percettivo nel modo in cui colloco il mio corpo nel mondo.
Questione sollevata: non mi riconosco nel mio corpo. Obiettivo del progetto: ritrovare il mio corpo come simbolo.
L’opera si ispira al concetto di nodo Borromeo teorizzato da Lacan (analogia che in psicoanalisi viene utilizzata per spiegare il funzionamento della mente umana) e al pensiero fenomenologico di corporeità elaborato da Maurice Merleau-Ponty
Il nodo borromeo rappresenta i legami che costituiscono la nostra struttura psichica ed è rappresentato da tre anelli intrecciati:
• Immaginario. È il primo registro associato alle immagini. Si basa sulla struttura dell’Io che si forma attraverso l’immagine del simile, l’identificazione; L’immaginario riflette l’immagine speculare del corpo, la quale ci consente di identificarci.
• Simbolico. È essenzialmente linguistico. Il mondo è strutturato secondo leggi che regolano le interazioni ed è profondamente legato al linguaggio.
* Reale. Non può essere rappresentato dalle immagini o dal linguaggio. Si differenzia dalla realtà, intesa come modo di concepire il mondo. Il reale è privo di significato. il reale è il registro legato all’esistenza, a ciò che è privo di significato e che è difficile da esprimere a parole.

Inizialmente la teoria lacaniana del nodo Borromeo presentava solo tre registri.
In un secondo momento Lacan ne aggiunse un quarto, il sintomo, che avrebbe l’effetto di “ancorare” il soggetto per collegarlo alla realtà e farlo adattare ad essa. Agisce, dunque, come un’enclave che, una volta abbandonata, provoca la comparsa della psicosi.

L’opera intende esplorare la connessione dell’uomo con la realtà circostante attraversando i tre registri descritti da Lacan e lo studio del “segno” come concetto di nodo e di intreccio.

Lo scopo è ripristinare lo scollamento percettivo generato dalla MRI, mediante tre momenti:
1) individuare la forma espressiva di “intreccio” attraverso il di-segno;
2) riportare in superficie la struttura psichica mediante lo studio grafico del “segno” e quello concettuale della scrittura;
3) collocare il di-segno nello spazio tridimensionale, secondo l’idea merleaupiontyana del corpo come “immagine tridimensionale” che ciascuno ha di se stesso.

 

Il terzo momento di indagine prende spunto dalla fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty che considera il corpo all’interno di una relazione continua con l’ambiente circostante, fondamentale per orientarsi tra l’interno (la costruzione delle immagini mentali, delle fantasie e delle percezioni) e l’esterno (il mondo e le cose).
L’idea di recuperare della nozione di “carne” nell’opera di Merleau-Ponty, vuole sottolineare come il corpo (carne) sia oggetto di una continua relazione con l’altra carne, il mondo e non limitatamente assoggettato a strutture di carattere psicologico.
La risonanza magnetica per immagini rappresenta l’entità carne “mondo” che entra in contatto con l’entità carne “corpo” mutando e integrando la conoscenza che abbiamo della nostra immagine corporea; ciò dimostra che un corpo/carne è in continua interrelazione con l’esterno.
Merleau-Ponty concepisce l’Essere come incrocio di corpo e linguaggio, ossia come intreccio ontologico di natura e cultura. Tentando di spiegare l’origine della coscienza partendo dell’esperienza corporeo-percettiva del mondo, nella Phénoménologie de la perception
Merleau-Ponty riprende la fondamentale distinzione husserliana di corpo in quanto macchina anatomica cartesiana oggetto di scienza e di corpo in quanto Leib, ovvero il corpo del soggetto come unità originaria e vissuta della coscienza.

Il filosofo vuole evidenziare che partendo da una soggettività incarnata in un corpo vivente, è possibile conoscere sia il mondo naturale che il mondo della verità scientifica intersoggettiva (che comprende più soggetti), per far ciò egli opera una distinzione tra parola parlante e parola parlata: la parola parlante si riferisce all’intenzione soggettiva della ricerca di senso, mentre la parola parlata si colloca all’interno di significazioni già disponibili e storicamente sedimentate (la cultura). Ciò dimostra l’esistenza di un intreccio tra «il carattere di acquisizione storica di un senso (parola parlata) e l’intenzione soggettiva di significazione (parola parlante)» grazie al quale si forma un nuovo «essere culturale».

La nozione di “carne” emerge proprio dall’intreccio di visibile e invisibile. La “carne” non è materia, non è spirito, non è sostanza. È un “elemento”, nel senso di «un principio incarnato che introduce un modo d’essere in qualsiasi luogo se ne trovi una particella.» In questo senso la carne è un “elemento” dell’Essere (nell’ essere-al-mondo.)
L’Essere della “carne” è il «chiasma», intreccio, è il “tra” che separa e unisce il corpo del mondo al corpo del soggetto, ed è tale concezione dell’Essere come intreccio di corpo e linguaggio che attraversa il soggetto, fa sì che la nostra soggettività si riveli “imparentata carnalmente” all’Essere del mondo in quanto corpo NEL e DEL mondo.

La carne, il tessuto connettivo che unisce mondo e corpo, conduce le due “entità” a mutare e ad integrarsi tra loro in una metamorfosi che non ha fine.
L’uomo organizza la sua esistenza attraverso un rapporto di reciprocità col mondo, ma il mondo non si riduce alla sua connotazione visibile e concreta; ogni oggetto, ogni cosa appartenente alla realtà, ogni evento implica una dimensione di visibilità e contestualmente una dimensione spirituale che circonda come un’aura la realtà; il rapporto tra la visibilità del mondo e questa dimensione invisibile (fatta di relazioni, forze energetiche, movimenti intensivi) viene definito “chiasma”, intendendo la reciproca complementarietà, ma soprattutto l’impossibilità di districare le due dimensioni una dall’altra.
La conclusione di tale riflessione segue un filo conduttore in divenire che inizia, si evolve e fluisce nel valore della corporeità: durante tale studio scopro che «io non ho un corpo, ma che sono il mio corpo». Esso porta i segni del tempo, unisce la trama di relazioni dello spazio che abito, esprime la mia interiorità, mostra le ferite inferte dal mio vissuto. L’osmosi tra corporeità ed esistenza che Merleau-Ponty ha teorizzato nella fenomenologia della percezione, offre una visione del mio essere e la comprensione del valore che l’ esperienza soggettiva rappresenta: dinnanzi alla MRI non esiste alcun cortocircuito percettivo fintanto che la mia esistenza si realizzerà in una dimensione di apertura al mondo, fintanto che mi interrogherò sul mio essere nel mondo.
L’opera prende forma nel segno grafico, ma è grazie all’atto di scrivere che mi avvicino al linguaggio, parole che si intrecciano a un di-segno epidermico, intricato, trasformando l’insieme in un nodo sempre più concreto fra corpo e pensiero, interno esterno, visibile e invisibile, aggrovigliandosi alle ombre, ai volumi, ai vuoti e ai pieni di un corpo che intuisco ma non vedo chiaramente. Le immagini si scompongono e ricompongono ad ogni sequenza, ma proseguendo nei movimenti del segno, emergono via via sempre più limpidi i segmenti del mio corpo.
Ciò che si realizza è il passaggio dal di-segno alla materia, dal rigido al plasmabile, dalla superficie alla profondità, dall’osservazione alla presa di coscienza: il disegno diventa ferro e invade lo spazio reale. L’essere della carne separa e unisce, si intreccia dal corpo del mondo al mio corpo: Io sono nel e del mondo, senza di esso non esiste coscienza.